Per gli over 65 o per gli under 30? La risposta in una ricerca americana. Forse.
Una ricerca delle università di New York e Princeton, secondo la quale gli utenti di età superiore ai 65 anni sarebbero più propensi a condividere fake news rispetto ai giovani ha scatenato una mezza tempesta sul sito de La Repubblica,
che aveva dato risalto ai risultati della ricerca, pubblicati sulla celebre rivista scientifica Science Advances (http://advances.sciencemag.org/content/5/1/eaau4586). Il dibattito si è fatto da subito interessante e piuttosto infuocato: da una parte l’ironia degli utenti più giovani, dall’altra l’orgoglio di molti lettori più attempati, che rivendicano con orgoglio la capacità di saper distinguere una notizia vera da una palesemente falsa. C’è chi ha preso le parti dei più anziani, perché magari meno avvezzi all’uso dei media digitali per motivi anagrafici, non essendo cresciuti pari passo con il web come le nuove generazioni, mentre altri puntano il dito sulla superficialità dei giudizi nei confronti delle persone più attempate, che al contrario possono offrire, se ascoltati, un patrimonio di esperienza di vita preziosissimo. E c’è chi poi, saggiamente, crede poco nelle statistiche ma molto di più nell’intelligenza di ogni singolo individuo, onde per cui “uno può essere un perfetto idiota anche a 30 anni!”. Senza voler dare giudizi definitivi – la ricerca si è basata su un campione di 3500 utenti americani, non dimentichiamolo – noi pensiamo che – fatto salvo il naturale declino cognitivo legato all’invecchiamento – l’esperienza aumenti con l’età, mentre i giovani sono più indifesi di fronte a certe manipolazioni delle informazioni. E più capelli bianchi si hanno, più dati vengono incamerati e messi in memoria – con o senza l’ausilio di un hard disk. Perché in un mondo dove tutto è potenzialmente falso e/o falsificabile, sono i dati oggettivi ad aiutare e a fornirci indicazioni sicure.